lunedì 20 febbraio 2017

in 5 righe

sabato parteciperò a un laboratorio di scrittura.
come esercizio in preparazione al laboratorio ci è stato chiesto di rispondere in cinque righe a queste due domande:


Chi sei? Che rapporto hai con la scrittura?


sono silvia e sono una che scrive. per passione scrivo narrativa; scrivo nel mio blog perché mi va; per lavoro scrivo per la pubblicità; scrivo email per coltivare i legami. tutta la mia vita passa attraverso le parole, scritte da me o da altri. quando non scrivo e non leggo cucino dolci, o dormo. prima di cadere in letargo stavo per correre una maratona. sono una a cui piace andare al cinema da sola, che non ha piante né animali domestici perché non sa prendersi nemmeno cura di se stessa, che vive rapporti conflittuali con un po' tutto - inclusi i suoi capelli bianchi.

giovedì 16 febbraio 2017

è facile superare il blocco se sai come farlo

non so se capiti anche agli altri, ma a me capita in continuazione, in diversi ambiti della mia vita.
c'è una cosa da fare, ci sono io che voglio farla, ma... non ci riesco, semplicemente.
non per mancanza di tempo o di competenze, semplicemente, non ci riesco.
sono bloccata.

facciamo un esempio: ci sono io che devo correre. ma oggi non ne ho voglia, domani fa troppo freddo, dopodomani piove, il giorno dopo è troppo buio. e arriva il momento in cui semplicemente sono terrorizzata all'idea di correre. inizio a leggere articoli su come tenere alta la motivazione per correre anche quando è inverno, inizio a guardare i risultati degli altri podisti amatoriali nel gruppo fb runlovers, e l'ansia da prestazione aumenta al punto in cui non riesco proprio a pensare di correre. nel frattempo le settimane passano, dall'ultimo allenamento sono passati mesi, ho anche iniziato a mangiare peggio, a ingurgitare quantità spropositate di dolci. sono ingrassata, che di per sé non sarebbe un problema, dato che ero ai confini del sottopeso, ma ovviamente io mi vedo enorme e la probabilità che anche mezz'ora di corsa potrebbe essere insostenibile diventa sempre più alta. e inizio a detestarmi perché so benissimo che sarebbe bastato mettere le scarpe e correre. invece ne ho fatta una questione di stato irrisolvibile, che peggiora giorno dopo giorno.

facciamo un secondo esempio: ci sono io che vorrei scrivere un romanzo. ci penso, ho un'idea, me la palleggio in mente, mi sembra buona. mi sembra buonissima, la miglior idea che mi sia mai venuta. ho già scritto almeno altri 5 o 6 romanzi, ma questo è diverso, è IL ROMANZO, non posso permettermi che venga male.
inizio a leggere saggi su come strutturare una narrazione, possibilmente in inglese, perché gli anglofoni se sanno di più. leggo dell'altra roba su come scrivere in modo più veloce, più efficace, più convincente. fino a che scrivere un romanzo diventa un'impresa impossibile, in cui non riuscirò mai. mettersi davanti al computer a scrivere è ormai fuori discussione. scrivere quel romanzo, sviluppare quell'idea, è diventato qualcosa di fuori dalla mia portata.
eppure sarebbe bastato mettersi lì e scrivere. invece mi metto lì e gioco a candy crush, e sono arrivata al livello 2072. con tutto il tempo che ho perso giocando a candy crush avrei potuto scrivere 50 romanzi e preparare altrettante maratone.
invece sono qui. bloccata.

sono sicura che è facile superare il blocco se sai come farlo, ma io non lo so.

sabato 11 febbraio 2017

Mi ammazzo per il resto tutto ok - Riflessioni sulla lettera di Michele Valentini

Qualche giorno fa è stata pubblicata dai giornali, per volere dei genitori, questa lettera di Michele Valentini, un 30enne che si è suicidato.
I genitori hanno voluto che la lettera fosse resa pubblica perché tutti sapessero che loro figlio è stato ucciso dal precariato.
Ho riflettuto molto prima di pubblicare questo post e ho impiegato un paio di giorni a scriverlo perché non sono solita esprimere giudizi e detesto chi lo fa, finendo nella solita trappola: riempire i vuoti d'informazione con supposizioni prive di fondamento.
Tuttavia questa volta vorrei dire la mia, perché quella lettera potrei averla scritta io (in modo non molto diverso) anche solo sei mesi fa.

Avrei potuto scriverla perché ero profondamente depressa e tormentata dai pensieri suicidari.

Per la mia comprensione delle cose (forse inesatta, ma spero non del tutto sbagliata) in questo caso c'è stato un abbaglio collettivo.
Michele ha scritto che a ucciderlo è stata la mancanza di un lavoro stabile e di un futuro certo e nessuno ha messo in dubbio le sue motivazioni.
Che è un po' come credere a un ubriaco che, dopo essere inciampato sui suoi stessi piedi, inveisce contro la società che permette ai marciapiedi di esistere indisturbati. Non è più probabile che sia stata la mancanza di equilibrio e lucidità dovuta al tasso alcolico a farlo cadere?

A uccidere Michele non è stata la precarietà, la società, il modello unico e tutti gli altri fantasmi contro cui si scaglia Michele nella sua lettera, e ora la sua famiglia.
Se la precarietà uccidesse, ci sarebbero tutti i giorni suicidi di massa, perché c'è un'intera generazione di adulti che vive - sopravvive - arrabattandosi, facendo più lavoretti contemporaneamente, senza alcuna certezza economica che permetta di costruirsi un futuro.

Quello che ho capito sulla mia pelle, è che non ci si suicida a causa della situazione in cui ci si trova, ma a causa della prospettiva da cui si guarda quella situazione.

A uccidere Michele è stata la depressione.

Lo sguardo depresso è uno sguardo impietoso su se stessi e sul mondo, è un giudizio che non lascia scampo, è una lente deformante che ricopre tutto ciò su cui si posa lo sguardo con un manto di catrame, nero, vischioso.

Essere depressi significa che, indipendentemente da quanti amici, quanto successo, quanti soldi hai, riesci a concentrarti solo su quello che non sei e vorresti essere, su quello che non hai e vorresti avere, su quello che sognavi e non hai ottenuto, su dove non sei e dove credevi saresti stato.

Le persone clinicamente depresse (che non sono persone un po' tristi o giù di morale) non stanno tutte a letto a piangere, non si trascinano in pigiama giorno dopo giorno. Di solito, le persone depresse, si sforzano di vivere: escono con gli amici, cucinano, lavorano, studiano, fanno tutto quello che ci si aspetta da loro, ma lo fanno sperando di morire, desiderando di essere inghiottiti da un buco, di essere colpiti da una pallottola vagante. Le persone depresse, spesso, sono bravissime a fingere di stare bene, a mimetizzarsi tra i normali.

Il gesto di Michele poteva essere l'occasione per portare l'attenzione su una malattia grave - mortale - quale è la depressione non riconosciuta e non trattata. Invece si è preferito ancora una volta dare la colpa alla crisi economica e alla precarietà, che innegabilmente hanno avuto un ruolo nel suicidio di Michele, ma che da sole non avrebbero di certo potuto ucciderlo.

Mi dispiace se sarò considerata indelicata e irrispettosa nei confronti dei genitori del ragazzo e del loro dolore, non è contro di loro che rivolgo queste riflessioni, è solo che non sopporto l'omertà e la vergogna che continuano a ruotare attorno alla depressione e alle malattie mentali in generale.
Le parole di Michele avrebbero potuto essere le mie, quella lettera avrei potuta scriverla io, che a 34 anni sono precaria, che in dieci anni di vita attiva non ho mai avuto un contratto a tempo indeterminato, che ho cambiato città e nazione e decine di datori di lavoro.
Se sono qui a raccontarlo è solo perché ho avuto il coraggio di ammettere di avere una malattia - la depressione - e di farmi curare.

venerdì 3 febbraio 2017

le 9 cose che so fare bene e 1 in cui sono negata

prendendo spunto da questo articolo ho deciso di elencare le cose che so fare bene.
come si dice nell'articolo, non è questione di vanteria ma di consapevolezza.
ecco quindi le cose che so fare bene:

 1 trovare refusi (li vedo ovunque, mi balzano agli occhi come insegne al neon - quelli degli altri.dei miei non mi accordo e per due settimane migliaia di persone hanno visto un mio annuncio pubblicitario con su scritto VEGA al posto di veNga. oh yea!)
 2 trovare quadrifogli (a volte mi capita anche mentre cammino. butto l'occhio su un ciuffo di trifogli ed ecco che li vedo: quadrifogli)
 3 fare puzzle (è una cosa che adoro, perché mi viene benissimo: in pochi mesi ho fatto da sola un puzzle da 5.000 pezzi.)
 4 dormire molte ore di fila come un sasso (alle 22e30 appoggio la testa sul cuscino e fino a quando non suona la sveglia la mattina dopo... dormo. è così semplice e stupendo che mai al mondo rinuncerei a questo mio talento)
 5 portare a termine gli impegni presi (così come mi piace chi fa quello che dice, anch'io faccio di tutto per mantenere la parola data. se dico che alle 17 sarò sotto casa tua, alle 16e58 sarò sotto casa tua. se dico che il lavoro sarà consegnato entro venerdì, il lavoro sarà consegnato entro venerdì)
 6 stare da sola (mi viene molto più facile che stare con gli altri. preferisco mille volte una serata in casa a leggere che una serata fuori)
 7 stare in silenzio (come si suol dire: "un bel tacer non fu mai scritto". se parlo è per dire qualcosa su cui ho riflettuto e che ritengo sensato. il silenzio è davvero sottovalutato, tranne che da me.)
 8 scrivere email (mi viene naturale. apro un nuovo messaggio e comincio a scrivere.)
 9 mangiare dolci (avrei preferito scrivere "sfornare dolci". ma la verità è che i dolci che sforno non sono poi così buoni. mi sembrano buoni solo perché ho un vero talento per ingurgitare qualsiasi cosa contenga zucchero.)

la cosa in cui sono negata: stare al telefono (ho acquistato un pacchetto che include 500 minuti al mese di chiamate gratuite: alla fine del mese ne ho consumati 3 o 4, 10 al massimo. detesto parlare al telefono, mi imbarazza, mi agita, dico tutte le cose sbagliate, spesso la cattiva ricezione mi fa perdere dei pezzi di conversazione e mi sento a disagio. parlo veloce perché ho paura di far perdere tempo a chi c'è dall'altra parte, ho un tono secco e militaresco - non molto diverso da quello normale - che indispone l'interlocutore. stare a vienna per sei anni ha sicuramente peggiorato la situazione, dato che spesso le conversazioni dovevano avvenire in tedesco, e chiunque abbia parlato una lingua straniera al telefono SA quale dramma si consumi ogni volta.)

mercoledì 1 febbraio 2017

There's a hole in my soul

Per riempire la voragine lasciata dal mio amato forno, mi sono cimentata in diverse ricette che, pur essendo sfiziose, non richiedessero l'uso dell'amato elettrodomestico. 
















Ecco quindi spadellata una focaccia ripiena che ha tutta l'aria di essere cruda e buonissima (ma lo scoprirò solo domani a pranzo) 
ed ecco servita questa sublime panna cotta allo zafferano senza gelatina né colla di pesce (che è prodotta con cotenna e ossa di maiale e la cosa mi fa piuttosto senso). Visto che prima di riavere un forno passeranno molti altri giorni, prevedo altre sperimentazioni azzardate.